Omelia della XIII Domenica del Tempo Ordinario

Fratelli e Sorelle carissimi, il profeta Eliseo arava con 12 paia di buoi, il che vuol dire che l’aratro aveva una stanga, snodata da catene, della lunghezza di trentacinque metri circa; conduceva la dodicesima coppia di buoi, quella di comando, ma dovevano esserci altri uomini dislocati lungo la stanga. Il lavoro doveva essere quello dello scasso iniziale di un ampio terreno. La chiamata avvenne nel bel mezzo di un lavoro. Un lavoro dove emergeva forza fisica e polso di comando. Colpisce la chiamata di Eliseo. Dio Onnipotente scelse proprio quell’uomo così forte per una missione profetica straordinaria. Sottolineo la missione profetica straordinaria, per distinguerla da quella della chiamata universale alla santità e alla testimonianza cristiana che interessa, proprio per la sua universalità, anche quelli, come noi, che rimangono di stucco di fronte ad un atleta dell’aratro come Eliseo. Nessun tentennamento al momento della chiamata. Eliseo accettò il mantello lanciatogli da Elia, “lasciò i buoi” e gli corse dietro, mentre questi proseguiva il suo cammino proprio per dirgli: “lascia tutto, altrimenti quanto ti ho comunicato svanirà”. Eliseo accoglie la chiamata e lascia tutto quello che stava facendo e tutto ciò che gli apparteneva. Unica richiesta, è quella di andare a baciare il padre e la madre. Gli attrezzi del suo lavoro li riduce a legname da ardere e, uccisi due buoi, prepara un banchetto nel quale i rapporti con i suoi diventano nuovi. La scelta di Eliseo, da parte di Dio, è irreversibile, definitiva. Nel Vangelo abbiamo la presentazione di un seguire Gesù subordinatamente all’umano e perciò non vere sequele. Uno dice a Gesù che lo seguirà ovunque egli vada. La subordinata che aveva nella mente è contenuta nelle parole di Gesù. Quel tale si immaginava di seguire un uomo alla conquista del potere. E dunque non si può, ad esempio, entrare in un seminario per avere vita comoda, onori, o privilegi. Un altro pone come subordinata il mantenimento della sua pietas parentale. Essa è cosa buona, ma Gesù la vuole rinnovata, vuole che la chiamata a seguirlo la rinnovi, e per questo non può accettare chi non fa lo stacco dalla pietas parentale. “Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me” (Mt 10,37), ci dice il Signore. E potremmo aggiungere che chi “ama il ragazzo, o la ragazza” più di Gesù non può accedere a lui. Il terzo personaggio ha anch’esso come subordinata il mantenimento della pietas parentale. Ma, Eliseo è corretto col padre e la madre; non ha infatti subordinate. È deciso: la sua vita sarà totalmente nuova. “Tu sai ben che cosa ho fatto di te”, gli disse Elia. Ed Eliseo, proprio comprendendo il dono, rivoluzionò la sua vita. Ma, considerando la nostra iniziazione cristiana, un fonte battesimale ci ha lavati e resi nuovi. Non un mantello ci è stato lanciato in segno del dono dello Spirito, ma siamo stati unti con un olio consacrato e accolti tra i forti da un vescovo. E non un banchetto di carne arrostita consumato nell’addio ad un passato per un nuovo presente e un nuovo futuro, ci rende nuovi con gli altri, ma il banchetto Eucaristico del Corpo e Sangue del Signore. Eliseo fu chiamato ad una missione, ma anche noi siamo chiamati ad una missione. Quale? Il Signore ce la presenta, ce la fa capire in tutti i modi possibili; nessun problema in questo per chi vive in unione con il Signore. Certo, nella missione generale di tutti i cristiani ad essere testimoni dell’Amore, ci sono missioni particolari. Può essere una missione che riguarda il proprio lavoro; ad esempio la ricerca di un nuovo farmaco per debellare una malattia. Ci sono le missioni legate a particolari carismi: profezia, miracoli, fondazione di Istituti, di opere assistenziali, ecc.; ma c’è pure la missione a fare il catechismo, quella di tenere dietro ai ragazzi, quella di assistere gli anziani, ecc. ecc. In una comunità parrocchiale continuamente lo Spirito Santo presenta e invita a missioni e offre a ciascuno la sua grazia per lo svolgimento della missione o compito. Nessuno deve pensare di essere senza chiamata al lavoro nella vigna del Signore, tappato in un tran-tran professionale o familiare, perché allora è l’indifferenza, l’avvitamento nell’egoismo. Veramente disastroso ciò visto che tutta la legge “trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»”. Le analisi circa l’indifferenza le conosciamo bene, fanno parte delle comuni considerazioni, ma, ecco, non se ne trae impulso al rimedio. O meglio ognuno ha il suo rimedio di fronte all’indifferenza. C’è chi rimedia salvando sé stesso in un cerchio di amici fidati; c’è chi salva sé stesso dandosi alla fuga nell’alcool, droga, sesso sfrenato, e così si rovina. C’è chi socialmente si impegna e vede il rimedio in un’affermazione della propria ideologia. C’è chi lo vede in un atteggiamento di compassione verso i bisognosi, come filantropia. Ci sono poi le geo-ricette per la pace; c’è, ad esempio, quella della guerra preventiva, già considerata da Scipione l’Africano, che diceva e ridiceva al senato romano: “Cartago, delenda est”. Ma è chiaro che la pax ottenuta con le armi non tiene che ben poco e per poco, perché ci saranno nuovi poteri che vorranno un’altra pax e combatteranno quella di prima. C’è poi la ricetta del “pacifismo pragmatico” che agisce con le dimostrazioni di popolo, le pressioni sui governi, perché si produca la pace. Ognuno fa quello che può, ma con quali mezzi si otterrà alla fine la pace dopo aver pressato governi e paesi? Nuovi poteri, emergono sempre, ma sono vecchi perché prodotti dall’uomo vecchio (Cf. Ef 4,17). Se pensiamo ad un mondo che ha raggiunto una pax sotto la regia di una nazione guida potente, o meglio di più nazioni, capaci di concertazione con le altre nazioni, diremmo pax sicura, perché ci sarebbe armonia tra poteri; eppure no, se ci fosse l’esclusione del disegno di Dio centrato su Cristo Re dei re, Signore dei signori, e la Chiesa sua sposa, non ci sarebbe pax sicura. C’è un potere, fratelli e sorelle, che i costruttori della terra non mettono nel conto: quello delle “porte degli inferi” (Mt 16,18). Satana vuole l’odio e quindi le guerre, le catastrofi sociali, la disperazione, l’anarchia. Questo “potere degli inferi” si insinua ovunque, stabilisce posizioni, ottiene leggi di morte, ottiene pubbliche libertà dei vizi. Il “potere delle porte degli inferi” crea i suoi orrendi militi. C’è un “mistero dell’iniquità” (2Tess 2,7) che si sviluppa strisciante dietro abili paraventi di zelo per la pace, all’ombra dei quali hanno spazio i militi delle “porte degli inferi”. Tutti noi ci ricordiamo del G8 di Genova. Chi non vede i segni delle “porte degli inferi” nei serpenti dei tatuaggi, nei negozi di occultismo, nelle pubblicazioni sulle “messe nere”, nella pratica delle sedute spiritiche? Ma, ecco, si dice “Satana non esiste”, esistono solo dei ragazzi vivaci che “giocano al satanismo e a volte sconfinano troppo”. Ma mentre si continua a dire “Dio non è”, non è contraddittoria l’affermazione che dice che Satana non esiste? “Le porte degli inferi”, lo sappiamo, introdurranno “l’empio”, “l’iniquo” (2Tess 2,8), “l’anticristo” (1Gv 3,18), “il falso profeta” (Ap 20,10), e questi diventerà il capo dei militi dell’orrore. Non voglio fare del diavolismo, ma solo presentare ciò che ci dice la Parola di Dio, nel Vangelo. Quale la ricetta di Dio? Non certo quella di Giacomo e Giovanni che chiedevano di invocare un fuoco dal cielo che bruciasse i samaritani. Un fuoco dal cielo dobbiamo certo invocarlo, ma è quello dello Spirito Santo, che ci fortifichi contro le insidie del nemico. Dunque, fratelli e sorelle, cerchiamo di essere militi di Cristo, che sanno che “le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa”, perché ci saranno sempre dei guerrieri da Cristo che al suo invito lo seguiranno e combatteranno con dedizione radicale, il crudele nemico dell’umanità, senza subordinate. Questi coraggiosi sono i vincitori dell’indifferentismo alitato “dalle porte degli inferi”, quale preparazione strategica per affermare i suoi bui militi. E questi coraggiosi, nella forza che procede dal Cristo, sono capaci di vincere, anzi stravincere, l’onda cupa dei militi delle “porte degli inferi”. Vincere con quale arma? Quella dell’amore e della preghiere sconfinata. L’amore che accetta la croce; l’amore che non si ribella alla croce, il Santo Rosario della Beata Vergine Maria, terrore di tutti i demoni.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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