Lettera Pastorale Quaresima 2020

+ SALVATORE MICALEF
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA
VESCOVO ORDINARIO

Prot. N. 166/2020 v- o

LETTERA PASTORALE TEMPO DI QUARESIMA 2020

Fratelli e Sorelle carissimi,
oggi 26 Febbraio è iniziato il Tempo di Quaresima, tempo di riflessione, di meditazione, di pentimento, di dialogo con il Signore, che, dopo aver ricevuto il Battesimo da Giovanni Battista andò nel deserto dove soffrì la fame e la sete, e fu tentato da satana. Questo numero di quaranta giorni non fu stabilito dagli uomini, ma consacrato da Dio, né indetto per considerazioni terrene, ma ordinato dalla celeste maestà per tutti gli uomini, che vogliono redimersi dal peccato e dalla morte eterna. È Dio ci ha ordinato di osservare l’impegno quaresimale in questo periodo dell’anno liturgico quando tutta la natura si rinnova e risorge dal torpore dell’inverno. La terra all’inizio della Quaresima depone la tristezza del freddo, ed io e voi all’inizio della Quaresima respingiamo la tristezza dei peccati; la terra è aperta dall’aratro per essere pronta a ricevere la sua semente, la terra della mia e della vostra anima è arata dai digiuni perché sia pronta a ricevere la semente celeste, di cui non avremo mai più, né fame e né sete. Perché, come trae maggior raccolto colui che lavora più assiduamente il suo campo, cosí raccoglie maggiori grazie colui che più lavora il campo del suo corpo e della sua anima con frequenti digiuni e mortificazioni. Ecco infatti che in questo tempo di astinenza nei seminati rinverdisce la messe, i polloni s’alzano in arbusti, le viti si coprono di gemme, tutta la natura si aderge verso l’alto; cosí in questo stesso tempo torna a guardare al futuro la speranza ch’era semimorta, si ritrova la gloriosa fede perduta, la vita temporale si innalza verso la vita eterna, e tutto il genere umano si sottrae al dominio infernale, puntando alto verso il cielo. In questo ciclo di quaranta giorni tutte le creature si danno cura di purgarsi di ciò che è nocivo per giungere pulite alla Pasqua di Resurrezione del Signore. Ora tutte le creature sono in parto, per presentarsi poi col loro frutto. Quindi, inaspettatamente la spina porterà la rosa, sul giunco sboccerà il giglio, gli aridi virgulti daranno profumo, e tutto s’adornerà di fiori cosí che la stessa natura sembrerà col suo splendore celebrare la festa del gran giorno. Queste infatti sono le spine del nostro corpo che pungono l’anima, delle quali dice la Scrittura: “La terra ti germinerà triboli e spine. Mi germina spine la mia terra quando mi stuzzica coi blandimenti della carnale libidine; mi germina triboli quando mi tormenta con l’avidità delle mondane ricchezze”. (Genesi, 3, 18) È spina per il cristiano l’avarizia, spina per l’uomo valente l’ambizione: sembrano dar piacere, ma invece fan danno. Da esse non possiamo difenderci se non con la vigilanza e il digiuno; anzi, in virtù della astinenza quelle stesse spine si mutano in rose. Il digiuno può trasformare la libidine in castità, la superbia in umiltà, l’ingordigia in frugalità. Questi sono i fiori della nostra vita che olezzano soavemente per il Cristo, che mandano buon profumo a Dio, onde dice l’Apostolo Paolo: “Perché noi siamo il buon profumo di Cristo per Dio” (2 Corinti, 2, 15). Il Signore ci ha dunque elargito la Quaresima perché durante questo tempo, cosí come fa tutta la natura, noi concepiamo i germi delle virtù per produrre il frutto della giustizia nel giorno della Pasqua del Signore. Ora, nello stesso spazio di quaranta giorni, il Cristo s’è esercitato, non per progredire Egli stesso, ma per mostrare a noi come progredire verso la salvezza. In Lui non v’era spina di peccato da trasformare in fiore; poiché era egli stesso il fiore nato non da spina ma da verga, come dice il profeta: “Uscirà una verga dalla radice di Jesse, e un fiore salirà su dalla radice” (Isaia, 11, 1). La verga infatti era Maria, gentile, semplice e vergine, che germinò il Cristo come un fiore dalla integrità del suo corpo verginale. Il Signore dunque ha stabilito per noi questa osservanza quaresimale digiunando egli stesso ininterrottamente per quaranta giorni e notti senza voler mangiare. Ma infine, dice l’Evangelista, ebbe fame. Come può dunque essere che, non avendo sentito fame né sete per cosí tanti giorni, dopo abbia avuto desiderio di mangiare? Ebbe fame, certo; e non possiamo negare che abbia desiderato di prendere cibo: perché desiderava non il cibo degli uomini ma la loro salvezza, non agognava banchetti di vivande terrene, ma bramava la santificazione delle anime immortali. Infatti, il cibo del Cristo è la redenzione dei popoli, cibo del Cristo è l’adempimento della volontà del Padre, come disse Egli stesso: “Mio cibo è di fare la volontà del Padre che mi ha mandato” (Giovanni, 4, 34). Ha preso su di sé le nostre colpe, i nostri gravi peccati, e si consegnò volontariamente alla morte di Croce, per dare a noi la salvezza eterna, annientare definitivamente per l’eternità la morte, il diavolo e il peccato. Quindi dobbiamo anche noi sentire la fame, non di quel cibo che si imbandisce sulle mense di questo mondo, ma di quello che si coglie dalla lezione delle divine Scritture! Poiché quello nutre il corpo per il tempo, questo ristora l’anima per l’eternità.

Data a Roma nella Sede Episcopale il 26 Febbraio 2020
Mercoledì delle Ceneri

+ Salvatore Micalef.
Vescovo Ordinario.

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