Omelia della Festa di Sant’Andrea Apostolo e Martire

Fratelli e Sorelle carissimi, Andrea, fratello di Simon Pietro è il Protocletos, infatti a lui spetta il titolo di ‘Primo chiamato, e in oriente tale aspetto viene grandemente valorizzato in ambito ecclesiologico, punto imprescindibile di una corretta lettura ecumenica. Risulta significativo e commovente il fatto che, nel Vangelo di Giovanni, sia perfino annotata l’ora («le quattro del pomeriggio») del suo primo incontro e primo appuntamento con Gesù. Fu poi Andrea a comunicare al fratello Pietro la scoperta del Messia e a condurlo in fretta da Lui. La sua presenza è sottolineata in modo particolare nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Sappiamo inoltre che, proprio ad Andrea, si rivolsero dei greci che volevano conoscere Gesù, ed egli li condusse al Divino Maestro. Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Betsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro.

La sua figura delineata nel Vangelo di Giovanni

Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: “Ecco l’agnello di Dio!” Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: “Abbiamo trovato il Messia!”. Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale “fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa””. Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini” (Matteo 4,18-20). Nel corso dei secoli attorno alla figura di Sant’Andrea sono nate molte leggende e tradizioni poco conosciute ma ricche di significato. Della sua vita, recependo i dati desumibili dai Vangeli, si può collocare il luogo di nascita a Betsaida, figlio di Giona e fratello di Simone, Andrea viveva di pesca a Cafarnao, sul lago di Tiberiade, il suo mestiere tuttavia non gli impedì di seguire la predicazione del Battista. La storia della sua vocazione ci è tramandata da San Giovanni nel suo Vangelo, quando il Battista indicò Gesù che passava come l’Agnello di Dio, Andrea e Giovanni seguirono Gesù e quell’incontro fu decisivo tanto che Andrea dopo che con tanta gioia ebbe annunziato al fratello Simon Pietro, l’incontro con Gesù, lasciò le reti mettendosi completamente al suo servizio. Gli episodi evangelici che fanno esplicita menzione di Andrea non sono molti, tuttavia il suo nome appare sempre nel primo gruppo nell’elenco dei nomi degli apostoli; l’ultima apparizione nella Sacra Scrittura, si trova negli Atti degli Apostoli, dove è menzionato tra gli apostoli nel cenacolo dopo l’Ascensione.

Attività apostolica dopo l’Ascensione

Sul prosieguo della sua vita non si hanno certezze ma solo alcune testimonianze letterarie dell’epoca patristica in cui emerge come Sant’Andrea svolse il suo apostolato nella Scizia, una regione tra il Danubio e il Don, nel Ponto, nella Cappadocia, nella Galazia e nella Bitinia, quindi passato in Acaia, l’attuale Grecia, sarebbe stato eletto vescovo di Patrasso e ivi avrebbe subito il martirio il 30 Novembre, legato secondo la tradizione ad una croce decussata, cioè una croce a braccia uguali come una X ,che da lui prese il nome di croce di Sant’Andrea, legato appunto e non inchiodato per soffrire una più lunga agonia.

Il martirio a Patrasso

Il Martirologio Romano ci riferisce inoltre come Sant’Andrea venne arrestato a Patrasso, fu prima rinchiuso in prigione, quindi gravissimamente flagellato, e da ultimo appeso in croce, sulla quale sopravvisse due giorni, istruendo il popolo e, avendo pregato il Signore di non permettere che egli fosse deposto dalla croce, fu circondato da un grande splendore celeste e quindi cessato tale splendore, rese lo spirito. Giunto infatti  a Patrasso, città dell’Acaia, fece abbracciare a molti la verità del Vangelo e non esitò a riprendere coraggiosamente il proconsole Egea, che resisteva alla predicazione evangelica, rimproverandogli di voler essere il giudice degli uomini, mentre i demoni lo ingannavano fino a fargli misconoscere il Cristo Dio, Giudice di tutti gli uomini. Egea adirato gli disse di smettere di esaltare il Cristo che, nonostante i buoni propositi dei sui atti non riuscì ad evitare la crocifissione dei Giudei. Andrea non curante delle parole di Egea continuava a predicare che Gesù Cristo si era Lui stesso offerto alla Croce, per la salvezza del genere umano, Egea lo interrompe con un discorso empio e lo avverte di pensare alla sua salvezza, invitandolo a riconoscere gli dei offrendo loro dei sacrifici. Andrea gli disse: “Per me, c’è un Dio onnipotente, solo e vero Dio, al quale sacrifico tutti i giorni, non già le carni dei tori né il sangue dei capri, ma l’Agnello senza macchia immolato sull’altare; e tutto il popolo partecipa alla sua carne e l’Agnello che è sacrificato rimane integro e pieno di vita”.  Egea, fuori di sé dalla collera, lo fece gettare in prigione. Il popolo ne avrebbe facilmente tratto fuori il suo Apostolo se quest’ultimo non avesse calmato la folla, scongiurandola di non impedirgli di giungere alla corona del martirio. Poco dopo, condotto davanti al tribunale, Andrea continuava ad esaltare il mistero della Croce e rimproverava ancora al Proconsole la sua empietà, Egea esasperato ordinò che lo si mettesse in croce, per fargli imitare la morte di Cristo. Fu allora che, giunto sul luogo del martirio e vedendo la croce, Andrea esclamò da lontano: “O buona Croce che hai tratto la tua gloria dalle membra del Signore, Croce lungamente bramata, ardentemente amata, cercata senza posa e finalmente preparata ai miei ardenti desideri, toglimi di mezzo agli uomini e restituiscimi al mio Signore affinché per te mi riceva Colui che per te mi ha riscattato”. Fu dunque infisso alla croce, sulla quale rimase vivo per tre giorni, senza cessar di predicare la fede di Gesù Cristo e passò così a Colui del quale si era augurato di imitare la morte. Andrea morì il 30 Novembre del 64 D.C.

Culto e devozione

Il suo corpo venne trasferito a Costantinopoli dall’imperatore Costanzo desideroso di avere nella città imperiale le reliquie dell’apostolo per vantare su Roma un titolo di onore, la liturgia bizantina infatti attribuì all’apostolo l’appellativo di “Protocleto” cioè chiamato per primo, e facendo leva su una leggenda lo indicò come primo vescovo di Bisanzio. Nel sec. XIII le reliquie di Sant’Andrea furono trasferite ad Amalfi mentre la testa fu portata a Roma in San Pietro dove rimase sino a quando Paolo VI la riconsegnò al patriarca ortodosso di Atene, come gesto di buona volontà sulla strada dell’ecumenismo. Il culto di Sant’Andrea, forte in ambito bizantino, si diffuse da subito anche in ambiente latino a cui si accompagnarono molte narrazioni leggendarie fra cui le gesta narrate nella passio di Andrea del secolo IV. Numerosissime furono le chiese sorte in suo onore e specialmente presso i Francesi vi fu nel Medioevo una fervidissima devozione per Sant’Andrea, invocato nelle battaglie, tanto che il grido di guerra di Goffredo di Buglione, durante la prima Crociata era: “Sant’Andrea di Patrasso!”, la casa di Borgogna si mise sotto la protezione del Santo e molte decorazioni militari e cavalleresche furono formate dalla Croce di Sant’Andrea. Il pescatore di Galilea che facendosi sopravanzare dal fratello era rimasto nell’ombra, ora appariva sugli stendardi e nelle insegne come un condottiero, forse proprio perché era stato il primo a seguire animosamente Gesù. Una curiosità, Sant’Andrea è considerato il patrono dei macellai, dei cordai, dei pescatori e dei pescivendoli, nonché della Scozia, della Grecia e della Russia. Un’altra curiosissima leggenda narra come le ragazze in cerca di marito debbano dopo aver mangiato metà mela, riporre l’altra metà sotto il cuscino e rivolgendo una preghiera a Sant’Andrea, in sogno quest’ultimo comunicherà loro un segreto tale da permetter loro di sposarsi.era chiaro per tutti gli Ebrei, e lo è ancora, che il Messia sarebbe stato Re; ma il Messia-Re, come Gesù lo rivelò con la sua parola e con sua la vita, fu rifiutato, beffeggiato, condannato e ucciso su una Croce. Pilato notò che la ragione della consegna a lui di Gesù era l’invidia del Sinedrio. Questa la ragione profonda, ma quello che venne presentato da Caifa fu la concezione terrena del Messia-Re, capo di un movimento di liberazione da Roma. Proprio così, quando Caifa disse che Gesù avrebbe portato la nazione alla rovina, presentò ancora la concezione che il Messia da loro atteso non avrebbe portato alla rovina la nazione, ma l’avrebbe fatta vincere con le armi (Cf. Gv 11,50) Venne rifiutato come pericoloso per la nazione e venne crocifisso tra due ladri: una morte infamante e di strazio. Sulla croce venne affisso il cartello della condanna: “Gesù Nazareno Re dei Giudei”. Terribile, beffarda, la scritta di Pilato, che diceva che i Giudei avevano consegnato il loro re perché venisse crocifisso. Un lealismo con Roma assurdo, falso, in piena contraddizione con tutta la loro volontà di liberarsi dal giogo di Roma. La scritta di Pilato non poteva che disturbare i Giudei, che la vollero mutata in “che ha detto di essere il Re dei Giudei”, ma Pilato non la mutò perché era la ragione giuridica della condanna nella quale si era avventurato. Anche lui era in contraddizione, poiché non aveva trovato nulla di colpevole in Gesù. Del resto, uno che dice di essere un Re senza avere un seguito armato non era indubbiamente reo di morte; un Re che entra a Gerusalemme seduto su di un asinello non faceva certo paura. La formula di condanna espressa da Pilato circoscriveva il Cristo quale Re dei Giudei, ma proprio quella condanna facilitava l’ingresso dei pagani al Cristo, perché con facilità potevano superare l’umano pensiero che il Cristo fosse solo patrimonio nazionale di Israele e non del mondo intero. Il Cristo sulla croce era il Re universale, e cadeva quindi ogni spunto di rivendicazione di supremazia nazionalista di Israele sulle altre nazioni. San Paolo dirà (Col 3,11): “Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o in circoncisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti”. Le nazioni restano, ma c’è un’unità in Cristo che non è condizionabile da nazioni, razze, etnie: è la “fraternitas universale” dei figli di Dio. Re di natura per la sua identità divina, Cristo è diventato Re per diritto di conquista. Terreno di vittoria? La croce. Egli ha espiato le nostre colpe, ci ha liberati dalle tenebre, ha distrutto l’oppressione del demonio, ha travolto gli ostacoli del mondo. Re di conquista. Alla espiazione è seguita la risurrezione dai morti. Alla risurrezione l’ingresso trionfale nel cielo. Il profeta Daniele aveva intravisto questo ingresso trionfale. Vide, in una visione notturna, uno simile ad un figlio d’uomo – simile, e dunque con un’identità misteriosa, particolare – andare verso il Vegliardo. E’ il Cristo che presentato dalla corte celeste riceve dal Padre ogni potere in cielo e in terra. E il Vegliardo gli diede potere, gloria e regno. Dal Padre, Cristo, ha ricevuto ogni potere. Non ha soltanto quello relativo alla Chiesa di cui è Fondatore, Capo, Sposo, Re, Maestro, Salvatore, Sommo pontefice, ma anche ha potere sui regni della terra, poiché egli, è il Principe dei re della terra (Ap17,14): “Il Signore dei signori e il Re dei re” ; (Ap 11,15) “Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo” . Egli, Re del regno dei cieli, che costituisce la Chiesa, è, anche, Re del regno del mondo, è il Re dei re. Egli che vive nella Chiesa, che estende nel mondo la conoscenza di sé mediante la Chiesa, che opera per mezzo dello Spirito Santo nella Chiesa e anche fuori della Chiesa per preparare le genti all’incontro con lui, viene con le nubi del cielo come Re trionfatore, a cui nulla sfugge. Re dei re, che governa il mondo permettendo situazioni e provocando situazioni, secondo la sua infinita sapienza. Re della Chiesa, sua Sposa, e Re dei re, che agisce nella storia, ed è testimoniato e annunciato nella storia dalla Chiesa. Non ci sarà potere temporale della Chiesa sui regni del mondo, ma sarà servizio della Chiesa ai regni del mondo col suo potere spirituale. I re “del regno del mondo” accoglieranno vitalmente la Chiesa e nella loro autorità temporale, aperta al Re dei re, la riconosceranno lievito di fecondità sociale. Nessuna potenza della terra potrà mai togliere a Cristo il potere di Re dei re, datogli dal Padre. Quando Satana sarà oltremodo rabbioso dell’accoglienza di Cristo da parte del regno del mondo, si adopererà con ogni sforzo nel moltiplicare gli anticristi; ma Cristo, sconfiggerà i suoi nemici, come si legge nel salmo 109: “Oracolo del Signore al mio Signore: ‹Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi›”. Passo ripreso da san Paolo (1Cor 15,25): “E’ necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”; passo ripreso dalla lettera agli Ebrei (10, 12-13): “Si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi”. Sempre Cristo sarà vincitore. Nella storia non ci sono solo gli uomini induriti che si ribellano a lui, ma anche gli eroi dell’amore, che rendono splendida la Chiesa. Alla fine del mondo non ci sarà solo l’annientamento dei nemici di quell’ora, satanicamente induriti, ma ci sarà anche lo splendore della Chiesa. Ci sarà grande mietitura, perché molti nell’incalzare della fine del mondo si ravvedranno; infatti sta scritto (Mt 24,30): “Allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra”. Egli è Re, e ciò comporta l’esercizio dei supremi poteri regali: legislativo, esecutivo e giudiziario. Cristo è legislatore, come risulta dai Vangeli, che sono norma di vita per la salvezza e per la comunione tra gli uomini. Cristo esercita il potere esecutivo, ordinato a far eseguire le leggi. Egli è infatti il Sommo Sacerdote che intercede presso il Padre, il Capo santificatore della Chiesa, che per mezzo dello Spirito Santo, fa sì che le sue leggi vengano messe in pratica, come si ricava dal profeta Ezechiele (11,19): “Darò loro un cuore nuovo, uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne, perché seguano le mie leggi, osservino le mie norme e le mettano in pratica”. Cristo possiede il potere giudiziario, come chiaramente si legge nei Vangeli (Gv 5,22ss): “Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre”. Anche la Chiesa, Sposa di Cristo, li possiede: il legislativo (le leggi ecclesiastiche), l’esecutivo (i sacramenti, la preghiera), il giudiziario (i tribunali ecclesiastici), ma rigorosamente in Cristo, in dipendenza da Cristo, sotto l’azione dello Spirito di Cristo. Ma in questa solennità di Cristo Re, quanti sono i “re”, le nazioni, che ora vogliono accogliere la luce del Re dei re? Ben pochi re, cioè persone di governo, lo accolgono veramente. Come agisce Cristo Re in questa situazione di divorzio dal messaggio cristiano? Certo Dio manda il sole sui buoni e sui cattivi. Sui buoni per dare loro gioia e pace; sui cattivi perché spera che i suoi benefici li attirino a lui. Ma quando i cattivi diventano diabolicamente cattivi, dei mostri, Dio non può più dare loro i suoi benefici poiché sarebbero usati per il male e lui diventerebbe complice del male, fiancheggiatore del male. Il Padre sembra entrare nel “silenzio”, e lasciare che gli uomini seguano il loro consiglio fallimentare (Cf. Ps 80,13). E Cristo Re, Sommo Sacerdote, cosa fa? Egli, che regna nella Chiesa, la sostiene e la sosterrà nelle prove, nelle persecuzioni, che velatamente ora, ma apertamente un domani, le saranno lanciate contro dal principe delle tenebre. E Cristo vincerà nella Chiesa, la carità vincerà. La Chiesa sostenuta da Cristo non fuggirà e, nel segno del proprio sangue, testimonierà l’amore. Le genti sconfitte dalle loro scelte di morte, avvolte nel buio delle loro menzogne, andranno, finalmente umili, a Cristo e alla Chiesa. Cristo Re e Sposo della Chiesa, vincerà per mezzo della Chiesa. “Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto”: sarà il tempo della civiltà della verità e dell’amore, e poi sarà il trionfo finale quando Cristo ritornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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