Omelia dell’XI Domenica del Tempo Ordinario

Fratelli e Sorelle carissimi, c’era chi coltivava il pensiero che un gruppo di uomini non influenti, non altolocati, non istruiti nelle scuole rabbiniche con a capo un Galileo proveniente da un insignificante paese quale era Nazareth non potesse avere alcun futuro. Già erano sorti personaggi che avevano attratto a sé la gente in una rivolta contro Roma, e poi erano finiti per essere crocifissi, tanto più questi nuovi personaggi che non avevano una bandiera da innalzare e che un posto nella storia non potevano sperare di averlo. Questi pensieri erano radicatissimi, tanto che Gamaliele per liberare gli apostoli imprigionati (At 5, 36s), fece leva proprio su tali convinzioni. Il Sinedrio, possiamo esserne certi, liberò gli apostoli per affermare con una aurea saggezza preveggente che si sarebbero dissolti nel nulla, con ancor più facilmente di Teuda e Giuda il Galileo, che avevano agitato le masse contro Roma innalzando una bandiera di liberazione, insomma facendo una cosa che appariva solida e convincente. Il gruppo di Gesù non aveva neppure una bandiera di rivolta, quindi era il nulla. E’ quel pensare secondo gli uomini che Gesù rimproverò a Pietro (Mt 16, 23); e quel pensare continua, è permanente. Gli uomini ritengono che avranno un futuro positivo solo coloro che hanno ricchezza, potenza, prestigio; i poveri, i miseri non hanno futuro che non sia la povertà e l’inferiorità. Così accade tra gli uomini che chi ha raggiunto un certo prestigio e potere, ricorrendo a tutti i mezzi, seduzione, coercizione, violenza, manipolazione, emarginazione, egemonia culturale, diventa come la massa di un buco nero di cui parla l’astrofisica. Un buco nero che con la sua immane forza gravitazionale fagocita tutto quanto gli sta intorno inglobandolo in sé. Questo il procedere degli uomini sulla terra. Il libro di Daniele, con le immagini delle bestie (Dn 7, 4s) che escono dal mare, presenta con tratti drammatici questi buchi neri della terra. Tuttavia, questi buchi neri della terra si trovano di fronte alla luce del regno portato da Cristo sulla terra, regno che non nasce dalle forze della terra, ma che viene dal cielo e che è del cielo. L’esiguità degli inizi, che Gesù presenta nell’immagine del granellino di senapa, è tuttavia accompagnata da una insospettata potenza germinativa. L’esiguità degli inizi di un’opera di Dio è la condizione necessaria all’espandersi del regno dei cieli. Esso non parte avendo al suo attivo le potenze della terra, che sono viziate dal peccato e devono essere purificate e restaurate in Cristo. L’esiguità degli inizi fa sì che essi non siano debitori di nulla alle forze della terra. Questo punto è ben presente nella terza lettera di Giovanni (v. 7) dove vengono presentati dei fratelli che hanno avuto la forza di non “accettare nulla dai pagani”, proprio per non appoggiarsi che su Dio. Il risultato del granellino di senapa, il più piccolo di tutti semi, è sorprendente poiché da esso si sviluppa una bella pianta che nelle pendici del Lago di Genesareth arrivava fino a quattro metri di altezza (la senapa corrente delle coltivazione giunge solo a 70 – 100 cm.), con dei bei rami capaci di attrarre sotto la loro ombra gli uccelli del cielo. Sorprendente! Gli uccelli del cielo si riparano all’ombra dei suoi rami. L’immagine significa che le genti porteranno all’ombra dei rami i loro poteri, le loro ricchezze, le loro risorse, affinché vengano protette e siano al servizio del regno dei cieli. Le strutture di potere dei regni che sorgono dalle forze della terra si comportano ben diversamente: non offrono protezione, non accettano che siano dono, libera offerta, le ricchezze, i poteri; essi vengono estorti, rubati, fatti propri frustrando la libertà altri. Le strutture di potere della terra sono voraci, tutto divorano per nutrire se stesse, per mantenere e aumentare la loro voracità insaziabile. La bestia simile ad un orso con tre costole in bocca, tratteggiata nel libro del profeta Daniele, è l’impressionante segno rivelatore di questa voracità insaziabile (Dn 7, 5). Gesù ci comunica un’altra verità circa il regno dei cieli ed è quella che il seminatore vede svilupparsi il seme in spiga in modo che lui non sa. Ciò vuol dire che l’operatore del regno dei cieli non pone altra cosa che il seme, il resto si sviluppa senza che possa controllarne il processo. Fuori di metafora la parabola dice che l’opera della crescita avviene per la grazia, cioè per qualcosa che procede da Dio e non dall’industria dell’uomo. Il punto focale della parabola sta proprio nella fiducia, nella costanza nell’attendere che l’operatore del regno dei cieli deve avere (Gc 5, 7). Gli inizi di ogni opera di Dio sono sempre di proporzioni modeste, ma se si persevera nel portale avanti ecco la bella pianta, ecco i rami, pronti a dare ristoro. La tentazione di fronte all’esiguità degli inizi è quella di cedere di fronte alle derisioni, ai “Cosa credete di fare!”, ai “La cosa finirà presto”. La tentazione è quella di cedere e di porsi su posizioni di mediocrità comune. Altra tentazione, molto subdola, è quella che, volendo fortemente la riuscita dell’opera intrapresa, invece di appoggiarsi al Signore in tutto si cerca l’appoggio del mondo. Ci si appoggia al mondo e il mondo aiuta, ma solo per creare per sé un vantaggio, per riconoscere sé in quell’opera che Dio ha iniziato, per creare un debito verso di lui che andrà pagato in perdita di agilità nel percorso, in attenuazione di franchezza nella parola dell’annuncio. La pianta cresce allora male, avvinghiata dall’edera soffocante delle braccia del mondo. I rami della pianta non si stendono e non danno ombra, ma tristezza, delusione. Come fare per evitare questi rischi, per vincere queste tentazioni? Bisogna essere fedeli al deserto, che va inteso come dolce bene del silenzio, come ambito della preghiera, come caldo rifugio del cuore, come roccaforte di vittoria. Il deserto è l’ascolto della Parola, la forza dell’annuncio. E’ nel deserto che la Chiesa trova lo spazio proprio della sua missione. Spazio che viene prima ed è antecedente ed immanente ad ogni spazio dell’operosità umana. Antecedente e nello stesso immanente allo spazio politico, a quello amministrativo, a quello giudiziario, a quello tecnico, a quello scientifico, a quello artistico, a quello sportivo. Tali spazi hanno una loro autonomia che la Chiesa non vuole eliminare, né occupare, ma che pur vuole ispirare, illuminare. Non c’è infatti uomo, opera umana, che non abbia bisogno del momento della riflessione morale, del silenzio, del deserto. E’ in quel momento che si decide la direzione da prendere. E se l’uomo si lascia prendere per mano da Dio e condurre e condurre nel deserto (Cf. Os 2, 16) incontrerà un disegno per lui, un disegno divino per lui, un disegno che ha nome Cristo, re di un regno non della terra, ma che viene dal cielo e che vuole stabilirsi nel cuore degli uomini per poi riversare il suo bene in tutte le realtà della terra. Incontrerà un bene che dà luce ad ogni bene, che illumina ogni bene penetrandolo con la sua luce. Amen. Niente paura delle piccole proporzioni dei tanti e tanti granellini di senapa che Gesù semina nella Chiesa perché prosperino, nessuna paura se sono piccoli piccoli. Niente paura, se siamo fedeli in breve diventeranno una bella pianta e la pianta con i suoi bei rami accoglierà gli uccelli del cielo, cioè tante persone bisognose di ombra, di pace, di gioia. Niente paura, andiamo avanti nel nome del Signore.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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