Omelia della Solennità di tutti i Santi

Fratelli e Sorelle carissimi, il libro Il libro dell’Apocalisse è tutto rivolto a fortificare i cristiani di tutto il mondo nei momenti della prova, quando sembra che le cose siano sfuggite di mano a Dio, e trionfi libero e crudele il male. Ma Dio è fedele e dà ai suoi la forza per sostenere vittoriosamente gli assalti brutali o sottili del mondo. Le persecuzioni sembrano annientare i santi, ma essi sono vincenti in virtù del sangue dell’Agnello. Ai loro sacrifici, ai tormenti sofferti, corrisponde in cielo una grande gloria. Essi non desistono dall’adoperarsi per l’avvento della società dell’amore, anche se ci sono momenti tragici dove tutto sembra inutile. La mansuetudine di Cristo, l’umiltà di Cristo, la debolezza di potenza terrena di Cristo sembrano del tutto perdenti di fronte alla macchina stritolante costruita dal mondo e dal demonio contro la Chiesa, ma la vittoria sarà dell’Agnello e dei suoi. Essi avranno in eredità la terra come promette la beatitudine sui miti. Di fronte alla macchina arcigna, crudele e anche seduttrice del mondo stanno i 144.000 segnati dal sigillo del Dio vivente. I 144.000 non sono un gruppo elitario; il numero indica simbolicamente una grande moltitudine (12x12x1000) organizzata per la vittoria sul mondo e Satana. La croce è il sigillo del Dio vivente: essa è sigillo di comunione con Dio e di appartenenza a Cristo. Giovanni vide un angelo salire dall’oriente, luogo dove sorge il sole, la luce; e la luce vince le tenebre. E’ una magnifica liturgia celeste in cui l’angelo che tiene in mano la croce frena i quattro angeli pronti a distruggere la terra colpevole. Alla liturgia del cielo corrisponde sulla terra l’accoglienza della croce da parte dei santi. Essi abbracciano la croce, meditano la passione di Cristo, e così il segno della croce, già liturgicamente ricevuto nel Battesimo e nella Cresima, si incide in loro, nell’azione dello Spirito Santo. Gli angeli sosterranno i santi nella loro scelta della croce. Le schiere dei 144.000 sono tratte dalle 12 tribù del nuovo Israele (Cf. Gal 6,16), che fanno capo non più ai dodici etnici patriarchi, ma ai 12 apostoli, mandati da Cristo in tutto il mondo. La vittoria dei 144.000 sul male ha in premio la gloria del cielo. La grande moltitudine che Giovanni vede corrisponde ai 144.000. Essi hanno in mano rami di palma, segno di vittoria nel combattimento. Essi si sono fatti salvatori in Cristo, unico Salvatore, e per questo il mondo li ha combattuti. Essi non sono coloro che si sono salvati perché trainati, si può dire, di peso, ma hanno trainato. La palma che hanno in mano è segno del martirio. Non tutti hanno ricevuto il martirio di sangue, ma tutti sono stati martirizzati dalle persecuzioni del mondo. Ma già sulla terra, i santi sono beati. Una beatitudine lontana dalla pienezza dell’incontro eterno con Dio nella visione beatifica di lui, ma pur beatitudine, come dice il Vangelo che abbiamo ascoltato. Beati perché hanno la calma speranza di non andare delusi: “grande è la vostra ricompensa nei cieli”, dice il Signore. Beati perché gustano le primizie dell’incontro con Dio nel cielo. Giovanni tocca il tema della nostra condizione finale. Dice che ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Per questo, infatti, sarebbe necessaria la visione beatifica, ma qui sulla terra si cammina nella fede e non nella visione. Nella fede, perché se vedessimo Dio così come egli è moriremmo; il nostro corpo non reggerebbe al sobbalzo dell’anima. Tuttavia, la fede sa questo: “lo vedremo così come egli è”. C’è una tensione dell’anima verso la pienezza del godimento di Dio in cielo. Le primizie che ora può gustare le danno una, certamente lieve e inadeguata, indicazione della beatitudine celeste, ma sufficiente per farla tendere verso l’alto. Tendere verso l’alto, rimanendo fedele al suo impegno d’amore sulla terra. Il santo tende a Dio, ma è nello stesso tempo fedele a Dio alla missione che ha ricevuto e la vuole compiere fino in fondo, per cui aspetta l’ora della sua morte non chiedendo che questa venga affrettata. Conosce il santo il valore del tempo. Sa che esso è conquista di Dio. (Si dice che il tempo è denaro, ma il santo dice che il tempo è conquista di Dio). Ma i santi in cielo non sono inattivi nei riguardi della terra; anzi essi sono superattivi, perché immersi nella Carità, che è Dio. Mentre sono sulla terra, impegnati a rendere luminosa la Terra, essi sanno che in cielo continueranno a promuovere il bene sulla terra. In cielo i santi non si voltano “da un’altra parte”, ma rimangono con uno sguardo d’amore verso di noi. Si capisce così la notissima frase di san Pio da Pietrelcina: “Farò più rumore da morto che da vivo”; si capiscono così quelle di santa Teresina di Gesù Bambino; “Tutto il mondo m’amerà!” e “Quando sarò in cielo spanderò una pioggia di rose sulla terra”. Frasi che non si riferivano ad assaporamento di celebrità futura: i santi non hanno pensato alla celebrità, hanno pensato a servire, ad amare. La grande moltitudine che compare a Giovanni proviene da ogni popolo e razza. La salvezza, la santità, sono offerte a tutti. Dio vorrebbe tutti santi, anzi grandi santi. Ma si dirà, se Dio vuole così perché ce ne sono così pochi? La riposta è facile, perché pochi si impegnano ad incidere in se stessi, attraverso l’imitazione di Cristo e per l’imitazione di Cristo, la croce. Molti, purtroppo, sono oggi i nemici della croce, anche tra quelli che varcano le soglie delle Chiese. Ma i santi sono beati anche qua, nel cammino terreno. La croce non è infatti cosa scura, triste, per coloro che seguono Cristo; per loro è situazione di incontro con Dio, di crescita nell’amore, di testimonianza al mondo, di fecondità apostolica. La croce per loro distilla un aroma inebriante, che dona una letizia nascosta, impossibile da pensare da coloro che preferiscono il mondo. Beati i poveri in spirito; cioè quelli che non hanno bramosia di ricchezze terrene, e quindi di onori, di piaceri. Beati, perché nel loro cuore si è stabilito il regno dei cieli con le sue ricchezze. Beati “quelli che sono nel pianto”, cioè coloro che soffrono per la partenza da questa terra di un loro caro, per la durezza degli urti del mondo, ma che non mescolano mai alle loro lacrime durezza e maledizione. Beati i miti, cioè coloro che non s’impongono, ma che servono e rimangono sempre comprensione, amabilità. Il mondo sembra essere conquistato dai “duri”, ma in realtà la vera conquista, quella dei cuori a Dio, la fanno i miti. E i miti daranno alla terra la gioia della riconciliazione con Dio. Ora detto tutto questo, vogliamo andare in cielo per il “rotto della cuffia”, come si suole dire, o con le mani piene di meriti, o meglio con il cuore pieno d’amore? Vogliamo andare in cielo perché portati sulle spalle dei generosi di Cristo, o andarci avendo portato sulle spalle pecorelle e pecorelle di Cristo? Se saremo diventati dei generosi di Cristo in cielo avremo un posto in alto. Ma, mi domanderete, che cosa vuol dire posto in alto? E rispondo con un paragone. Quando una finestra è aperta la luce entra, ora tanto più la finestra sarà aperta tanta più luce entrerà nella stanza. Dunque, la luce è la stessa, ma il suo ingresso è proporzionato dall’apertura degli scuri della finestra. Così in cielo. La visione beatifica è data a tutti (la luce che entra nella finestra e uguale per tutti); Dio tutti lo vedremo così come egli è; ma un conto è se la finestra è stata aperta poco sulla terra, un conto se essa si è spalancata in una corrispondenza puntuale. Allora puntiamo ai posti alti nel cielo, e per far questo serviamo umili, amanti del nascondimento, i nostri fratelli quaggiù in terra.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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